Papiri

Nell'era telematica, la carta stampata assomiglia ad un'anticaglia. Per chi preferisce la vivacità delle strade alla contemplazione nei musei, qui si possono trovare volantini, manifesti, adesivi, giornali e tomi, già impaginati, pronti per essere saccheggiati, scaricati, riprodotti e diffusi.

Tairsìa

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La morte del lavoro

 

«Meglio morire di tumore che morire di fame».

A pronunciare questa frase è stato un lavoratore dell’Ilva di Taranto, mobilitatosi per difendere il posto di lavoro messo in discussione dopo il sequestro giudiziario di buona parte dell’acciaieria. Una frase in cui è racchiuso tutto il fatalismo dovuto alla rassegnazione e la mancanza di prospettive di chi non riesce a immaginare un’esistenza “altra” rispetto a quella in cui si trova immerso.
Migliaia di operai che scendono in strada e bloccano una città, isolandola completamente, per difendere il loro diritto a lavorare e crepare, oltreché la necessità ineluttabile di diffondere, potenzialmente, il cancro ad alcune centinaia di migliaia di altre persone che vivono in quella stessa città, rappresentano bene il paradigma di un mondo e di un pensiero che agiscono in modo decisamente opposto a quello che dovrebbe essere il buonsenso comune. Un buonsenso spazzato via dalle varie ideologie che, facendo leva sulla necessità del lavoro, incatenano milioni di persone ad un triste presente di cui sembra non si possa fare a meno, trasformandole in un perfetto meccanismo per il mantenimento dell’ordine che le ha spinte a trovarsi nella condizione in cui sono, ma incapaci di rendersene conto. Una ideologia che da un lato fa leva sulla concezione cattolica e fascista del sacrificio come condizione necessaria per elevarsi e realizzarsi, e dall’altro su quella “progressista” dell’operaismo di sinistra, per cui non c’è dignità senza lavoro.

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[Estratto da Tairsìa n° 3, settembre 2012]

Chi era Calabresi?

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Chi era Calabresi?

Il 17 maggio di quarant’anni fa, alle 9.15 a.m., due proiettili posero la parola fine alla vita del commissario Calabresi, il “commissario Finestra”, addestrato dalla CIA.
Eppure, a distanza di tanti anni, il suo cadavere continua ad emanare un tanfo sgradevole, e si tenta di riscrivere un finale. Questo tentativo passa anche attraverso un film, immondo e servile quanto il suo regista, passato di recente nelle sale cinematografiche. Un film che vorrebbe riscrivere la storia degli ultimi quarant’anni, rispolverando la teoria che dietro le bombe stragiste e la strategia della tensione ci fossero gli anarchici.
Un film che vuole presentarci un commissario Calabresi buono, amico degli anarchici che inquisiva e, soprattutto, estraneo all’omicidio di Giuseppe Pinelli, scaraventato fuori dal quarto piano della Questura di Milano il 15 dicembre 1969, dopo tre giorni di interrogatorio.

Tairsìa 2

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Tairsìa 2

 

Nella calma di una tranquilla giornata, un vento si leva improvviso, forte, ed inizia a turbinare, a sconvolgere la calma che fino a quel momento era stata. Questa è, nel dialetto leccese, la Tairsìa. Un vento che può cessare dopo poco tempo, smettere all'improvviso così come si era presentato, oppure può perdurare e, accompagnato da altri fenomeni, tramutarsi in tempesta.

Negli ultimi tempi, tra la calma della pacificazione sociale, sprazzi di Tairsìa hanno fatto la loro comparsa in varie parti del pianeta. Un vento che potrebbe essere contrastato o, al contrario, alimentare le fiamme e riattizzare focolai che sembravano spenti. I governi, l'economia, i loro scherani e i falsi critici di questo macabro esistente, stanno cercando di disporre adeguate contromisure affinché questo vento non faccia crollare tutto il sistema già vacillante. Agli amanti della libertà non resta che fare l'opposto: alimentare il vento, fino a che una Tairsìa sociale spazzi via tutto, aprendo la strada e cercando sentieri che conducano ad un mondo altro.
Questo foglio cerca di andare in questa direzione.

"Crisi"

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Un'idea contro la "crisi"

Altra "crisi"

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Un'altra idea contro la "crisi"

Tairsìa

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Tairsìa

Nella calma di una tranquilla giornata, un vento si leva improvviso, forte, ed inizia a turbinare, a sconvolgere la calma che fino a quel momento era stata. Questa è, nel dialetto leccese, la Tairsìa. Un vento che può cessare dopo poco tempo, smettere all'improvviso così come si era presentato, oppure può perdurare e, accompagnato da altri fenomeni, tramutarsi in tempesta.

Negli ultimi tempi, tra la calma della pacificazione sociale, sprazzi di Tairsìa hanno fatto la loro comparsa in varie parti del pianeta. Dal nord Africa in fiamme al Cile, dal Medio oriente alla Grecia, questo vento si sta spingendo fino al cuore delle metropoli occidentali e di tutto il mondo industrializzato. Un vento che potrebbe essere contrastato o, al contrario, alimentare le fiamme e riattizzare focolai che sembravano spenti. I governi, l'economia, i loro scherani e i falsi critici di questo macabro esistente, stanno cercando di disporre adeguate contromisure affinché questo vento non faccia crollare tutto il sistema già vacillante. Agli amanti della libertà non resta che fare l'opposto: alimentare il vento, fino a che una Tairsìa sociale spazzi via tutto, aprendo la strada e cercando sentieri che conducano ad un mondo altro.
Questo foglio cerca di andare in questa direzione.
 

A tutti i valsusini

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A tutti i valsusini

Letto sui muri della Val Susa nell'ottobre 2008

Panem et Circenses

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Panem et Circenses

 

Già lo sapevano gli antichi romani, e lo sapeva il poeta latino Giovenale. I governanti hanno a propria disposizione un modo sicuro per garantirsi l’obbedienza, quello di elargire ai propri sudditi il minimo indispensabile per sopravvivere e concedere loro svaghi sfiziosi. Oggi che la fame non a tutti fa sentire i suoi morsi più acuti, chiunque intenda detenere a lungo il potere è costretto soprattutto a riempire gli occhi, ad assicurarsi il consenso popolare mediante l’organizzazione di “eventi” ludici collettivi che distolgano l’attenzione generale da quanto accade quotidianamente, in modo da lasciare ogni decisone al solo ceto politico, trasformando gli individui attivi in pubblico passivo. Le antiche corse di cavalli al Circo Massimo hanno lasciato posto agli spettacoli moderni.

Osserviamo cosa avviene a livello nazionale, con un capo del governo che è al tempo stesso il principale imprenditore del mondo dello spettacolo. Le turbolenze dell’economia stanno gettando sul lastrico centinaia di migliaia di persone? Niente paura, ci possiamo sempre appassionare al campionato di calcio più bello del mondo! Viviamo in un paese in guerra con un dittatore sanguinario a cui fino a ieri si baciava la mano? Non importa, basta non perdere l’ultima puntata del nuovo reality show! Stanno per costruire nuove centrali atomiche che ci irradieranno ancor più? Pazienza, incantiamoci davanti alle prodezze di bicipiti e culi palestrati. I rapporti umani vanno immiserendosi sempre più, travolti dalla meschinità della competizione, dell’invidia e del sospetto? Allora, mettiamoci tutti davanti a uno schermo, quale che sia! [...]
 

Credere, obbedire, lavorare

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Credere, obbedire, lavorare

Bisogna credere alle parole della propaganda, ai giornali e alle televisioni che riportano i proclami del ministro, il comunicato dell'amministratore delegato, le dichiarazioni del funzionario. 

 
Bisogna obbedire agli ordini delle autorità, che siano ringhiati dal governo come dall'imprenditore, dal vescovo come dal questore. 
 
Bisogna (cercare di) lavorare, ovvero consumare i propri giorni nella fatica di trovare denaro per tirare avanti. Senza perdere tempo con pensieri singolari, con libertà prese senza chiedere permesso, con feste ormai fuori moda. 
 
Non c'è null'altro che si possa e si debba fare al di fuori del «credere obbedire e lavorare»; il resto è proibito dalla legge. Quella stessa legge che pretende di stabilire quanto bere, dove mangiare, cosa dire, chi amare, come morire ma — soprattutto — come dobbiamo vivere. Chi non si rassegna ad un'esistenza di genuflessioni non può che essere considerato "socialmente pericoloso", qualcuno da perseguire e reprimere, al di là del suo agire. Ormai bastano le intenzioni. Avere idee proprie, osare esprimerle e cercare di metterle in pratica, è più che sufficiente per finire nel mirino di chi concepisce e gradisce solo gli applausi e gli scodinzolamenti.
Per questi ed altri motivi si stanno moltiplicando in Italia le inchieste per "associazione a delinquere", con o senza "finalità eversive", volte a dare una lezione preventiva a tutti coloro che non ne vogliono sapere di mettere la testa a partito (democratico o checchessia). 
 
Ieri (all'inizio di aprile) era toccato ad alcuni anarchici di Bologna finire in galera, accusati di protestare troppo vivacemente contro il militarismo che disciplina e bombarda o il razzismo che costruisce campi di concentramento. Oggi (in prossimità della Festa della Polizia, annuale occasione di retate con cui drappeggiarsi) è la volta di decine di studenti universitari di Firenze — troppo irrispettosi nei confronti delle riforme scolastiche volute dal governo o più in generale delle sue politiche — di subire le attenzioni della magistratura. Alcuni di loro sono finiti agli arresti domiciliari, altri hanno l'obbligo di firma. In totale ci sono un'ottantina di indagati dalla Procura di Firenze, perché colpevoli di rifiutare di restare proni davanti all'autorità. 
Domani a chi toccherà?
Potrebbe toccare anche a qualcuno di voi. A qualcuno non più ottenebrato da campionati di calcio e reality show, ossessionato da ruoli sociali su cui arrampicarsi e tradizioni familiari da rispettare, assuefatto a ripugnanti politici di governo e patetici politici d'opposizione. A chi non intenderà più trascorrere l'esistenza respirando aria inquinata, mangiando cibo sofisticato, consumando rapporti artificiali, trepidando per i conti da pagare. A chi non sopporterà più l'indifferenza di fronte a guerre e centrali nucleari, a lager e sfruttamento, ad inceneritori e cantieri dell'alta velocità. E che per tutto questo — per assaporare infine una vita degna d'essere vissuta —  inizierà a urlare a squarciagola, a bloccare strade, a sporcare muri, a sabotare gli strumenti con cui il potere ci costringe tutti a credere, obbedire e lavorare.
 

 

Dieci pugnalate alla politica

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Dieci pugnalate alla politica

 

 

La politica è l’arte del ricupero. Il modo più efficace per scoraggiare ogni ribellione, ogni desiderio di cambiamento reale, è presentare un uomo di Stato come sovversivo, oppure — meglio ancora — trasformare un sovversivo in un uomo di Stato. Non tutti gli uomini di Stato sono pagati dal governo. Ci sono funzionari che non si trovano in parlamento e nemmeno nelle stanze adiacenti; anzi, frequentano i centri sociali e conoscono discretamente le principali tesi rivoluzionarie. Discettano sulle potenzialità liberatorie della tecnologia, teorizzano di sfere pubbliche non statali e di oltrepassamento del soggetto. La realtà — lo sanno bene — è sempre più complessa di qualsiasi azione. Così, se auspicano una teoria totale è solo per poterla, nella vita quotidiana, dimenticare totalmente. Il potere ha bisogno di loro perché — come loro stessi ci insegnano — quando nessuno lo critica il potere si critica da sé.

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