Intempestivi

Guardie e ladri

 

«Di respirare la stessa aria dei secondini non mi va
perciò ho deciso di rinunciare alla mia ora di libertà»
 
Durante il corteo NoTav dello scorso 23 marzo in Val Susa, alcuni manifestanti sono entrati in un esercizio commerciale di Bussoleno, hanno prelevato merci per poi uscire senza passare dalla cassa. Le hanno più semplicemente rubate. A render(ce)lo noto è il Movimento No Tav che in un suo comunicato denuncia l'episodio «molto grave», stigmatizzandolo duramente. Gli autori del furto sono paragonati per «brutalità e ignoranza» a chi occupa e devasta quella valle, essendo «arroganti» e «prepotenti» con brave persone che in tempi di crisi cercano di sopravvivere «in modo onesto», e per questo motivo vengono dichiarate – udite! udite! – persone «non gradite in questa terra e nella nostra lotta». Il Movimento No Tav intima quindi a «chi si fosse macchiato di questa infamia» di evitare in futuro di calpestare il suolo valligiano, giacché «questo episodio non rappresenta la lotta no tav, chi ha compiuto questo gesto non può definirsi no tav o portare questa bandiera. Chi ha compiuto questo gesto può solo essere allontanato dal movimento no tav».
Chi sia codesto Movimento No Tav che stila comunicati di condanna per ogni atto che rischi di gettare pubblico discredito sulla lotta No Tav presso le persone dabbene, ormai lo abbiamo appreso. Ce lo ha spiegato un NoTav, nonché militante autonomo torinese, nel corso della presentazione di un libro. Sono alcuni attivisti «riconosciuti dal movimento» che, in circostanze analoghe, si sentono fra di loro e decidono il da dirsi. Poiché il Movimento No Tav si vanta di non appartenere a nessuno e di essere plurale, molteplice, rispettoso delle differenze, a nessuna delle sue singole componenti è concesso di rappresentarlo. Tuttavia la lotta popolare ha le sue esigenze ed urgenze. Come insegna qualche anarchico assai pratico e poco metafisico, non si tratta di passarsi in tutta calma un bucolico bastoncino per decidere di che colore dipingere il fienile. Quando l'acqua bolle, bisogna pur che qualcuno decida per altri e cali la pasta. Ma non chiamatelo leaderino, gli sgualcireste le buone intenzioni e finirebbe per offendersi. Noi, da cafoni quali siamo, chiamiamo questo qualcuno ceto politico. Il ceto politico No Tav è quel qualcuno – democratico, autonomo o anarchico, per noi non fa differenza – che si riunisce in separata sede, stabilisce la strategia, la linea di condotta collettiva, e poi la sottopone a ratifica assembleare. In questo senso abbiamo ancora sotto gli occhi l'assemblea popolare che ha preceduto la manifestazione del 23 ottobre 2011, quella immediatamente successiva ai disordini scoppiati a Roma il 15 ottobre. Un illuminante esempio della cialtroneria della democrazia di base, diretta, popolare: il leader mediatico fa il suo ingresso accolto da un’ovazione, comunica che la sera precedente nel corso dell'incontro dei comitati hanno deciso per una manifestazione pacifica, e minaccia l’esclusione di chi non si adeguerà alla decisione già presa, dopo aver evocato la drammaticità del momento. L'assemblea non certo come luogo di dibattito fra tutti, ma come timbro di vidimazione alle decisioni prese dai pochi.
Siamo davvero colpiti dalla doppia morale di questo fantomatico Movimento No Tav, che applaude i senatori marcianti alle sue manifestazioni, i magistrati partecipanti alle sue iniziative, gli alpini presenti ai suoi presidi, i preti officianti ai suoi appuntamenti... ma che è sempre lesto a condannare sabotatori e ladri. Chi allunga la mano sulla proprietà altrui, compie un gesto «infame». Chi siede sugli scranni e amministra la vita altrui, chi ha riempito le galere, chi è pronto a fare la guerra, chi serra le manette ai polsi... no. Costoro non sono né arroganti né prepotenti, sono persone gradite, a cui è concesso calpestare il sacro suolo valsusino, a patto di aver prestato giuramento alla bandiera No Tav. Con loro si può partire e tornare insieme, con loro si può condividere; con quegli altri, no. Ancora una volta è questa la voce che si leva – forte e potente, tanto più in quanto incontrastata – dalla valle che resiste. La collettività (che sia scaltra menzogna o pia illusione) deve essere seguita, l’individuo è messo al bando. 
La Val Susa è proprio diventata un'acquasantiera, basta bagnarvisi per venire mondati da tutti i peccati. Acquasantiera della società civile, in grado di far apprezzare giornalisti e magistrati, politici e militari, padroni e sacerdoti. Ed acquasantiera del movimento, in grado di far apprezzare calunniatori e dissociati. Chi osa entrare in chiesa senza farsi il segno della croce «non ha capito nulla della lotta no tav e della valle di Susa». Il ceto politico ne deduce con molta umiltà che costui «non ha capito nulla della vita e della lotta in ogni caso» – e deve perciò essere allontanato. Amen.
Ci vuole tanta, tanta massa obbediente per vedere soddisfatte le ambizioni dei capipopolo. Ma basta qualche individuo riottoso per vederle andare in rovina. Per sempre.
 
[30/3/13]